«Basta con l’antisocialismo viscerale!»

Io ci sto. Ma poi la smettono di rubare?

Quello di “antisocialista viscerale” è l’infamante epiteto che i socialisti italiani da sempre riservano a chi abbia la scostumatezza di far anche solo sommessamente notare come molti di loro rubassero a man bassa. Colle recenti vicende giudiziarie di Ottaviano Del Turco, l’annosa questione è prepotentemente tornata d’attualità: “terzisti”, “dialoganti” e riformisti (si vocifera esistano davvero) lamentano un diffuso pregiudizio verso i socialisti, “toghe rosse” e stalinisti rimarcano invece come tra gli orfani del Garofano abbondassero e abbondino corrotti, grassatori e ladri di bestiame. Chi ha ragione?

Un’autorevole commissione di storici, politologi e criminologi, dal Gambero Rotto appositamente nominata, pur dopo lunghi studi, corredati da vaste indagini demoscopiche, non è riuscita ad andare oltre le seguenti, lapidarie conclusioni:

  1. Non ci sono più le mezze stagioni

  2. È tutto un magna–magna

Mi provo ad approfondire, ritenendo l’analisi viziata da un certo qualunquismo. La diaspora post–craxiana, dovuta alla vendita giudiziaria della loro casa comune, ha inopinatamente trasformato i socialisti italiani in altrettanti orfani, d’affetto e comprensione bisognosi. Nessun partito – dell’arco costituzionale e non – ha però saputo rimanere insensibile: commossi, tutti hanno infatti finito coll’adottare almeno un socialista, da compagnia, guardia o riporto.

A ben donde: di norma amabilissimo, il socialista italiano è dotato di grande spirito di adattamento, obbedisce al padrone e è affettuoso coi bambini. Non abbaia e non sporca (non è infrequente che sappia servirsi delle posate).

Quella del socialista di razza è una compagnia cui è naturale e immediato affezionarsi, una volta fatta l’abitudine a quel suo – peraltro trascurabile – difetto caratteriale: appena può, il simpatico birbante vi frega il portafogli.

Che nessuno si lasci però scoraggiare: non ci sono più scuse per non adottare un socialista. Al termine di lunghi studi comportamentali (e dopo migliaia di tessere Bancomat svuotate), gli etologi sono infatti riusciti a mettere a punto un metodo infallibile per addestrare con successo il socialista, dissuadendolo dagli usuali scippi e furtarelli: basta ammanettarlo.

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Colgo l’occasione per rispolverare un’assai calzante invettiva del Commendator Carlo Salami, il misterioso (chi ne sa qualcosa?) genio che teneva la rubrica Insulti sul mai dimenticato Cuore, settimanale di resistenza umana.

[…] Grave è, invece, la situazione nelle librerie che pur abituate alle invidie dell’Alberoni, agli angeli del Cacciari, alle viscere in libera uscita del Barbiellini Umidei sono ora visitate da un orrore senza pari: il romanzo (1) dell’Ottaviano Del Turco, un craxiano che narra come si possa campare alle spalle di chi lavora senza batter ciglio. Sono le memorie di uno che non avendo voglia di fare un cazzo di niente nella vita si mette a difendere, senza esserne richiesto, come il suo fratello siamese Benvenuto Oblomov, i lavoratori onde, da questi sventurati, farsi mantenere insieme a famigli e concubine. Una lettura davvero edificante come la cosiddetta traduzione del Decameron del sommo Giovanni Boccaccio fatta da un impiegato di concetto, un certo Aldo Busi che ha il pallino di scrivere romanzi e di scorreggiare al Costanzo show.

Dalla rubrica Insulti del Commendator Carlo Salami, Cuore n. 14 – 06 Maggio 1991

  1. Ottaviano Del Turco, Onora il padre e la madre (Sperling&Kupfer, 1991), «dove il padre e la madre stanno a indicare Giuseppe Di Vittorio e Pietro Nenni, legittimi progenitori del riformismo italiano».