Il ritorno di Gian Luigi Rondi

Aria nuova alla Festa del Cinema di Roma

Torino, Museo Egizio: si lavora alacremente – pur tra mille cautele – al delicato sbendaggio di Gian Luigi Rondi, il più antico e prezioso tra i reperti archeologici in esposizione. Il gran ciambellano del cinema italiano – vista l’indisponibilità di Thutmose IV e Amenhotep III – è stato infatti chiamato a sostituire Goffredo Bettini alla presidenza della Fondazione Cinema per Tebe, che sovrintende alla Festa del Cinema della Capitale. Non appena risvegliatosi, il Rondi ha subito diffuso un comunicato a mezzo stele geroglifica, in cui preannuncia di voler riconsacrare al Dio Amon la prima Festa della sua gestione.

Senza oltre indulgere a facili ironie sulla sua veneranda età (classe 1921) e sulla sua notoria refrattarietà a incarichi e onorificenze, quella di Gian Luigi Rondi è certo scelta di cui felicitarsi. Aldilà della sua indubbia competenza cinematografica, chi meglio dell’Onusto, da sessant’anni ininterrottamente sulla breccia, può infatti rappresentare il cinema di un’Italia perennemente in preda alla nostalgia di un Passato che – a ben guardare – non se n’è mai andato?

La sua nomina, tanto squisitamente passatista, non si spiega però solo con la scarsa popolarità dei Cahiers du cinéma all’interno della giunta Alemanno, invero rimasta a più nostrani telefoni bianchi e degli ultimi cinquant’anni della settima arte fieramente ignara, tanto da aver in prima battuta proposto il nome di Squitieri. Non è nemmeno una semplice manifestazione di quel gusto per il bric à brac antiquario di certo cinema italiano, tipico del trucco della Lollobrigida o delle messe in scena di Zeffirelli, sul quale – c’è da scommetterci – verrà organizzata una retrospettiva.

Ben più profondo è il senso del nome di Rondi nell’anno 2008.

Esso incarna e significa il più autentico Miracolo italiano, l’avverarsi del nostro sogno collettivo: l’agognato ritorno agli anni Cinquanta, pur in versione riveduta e corretta. Appena un po’ più autarchici, senza guerra fredda, archi costituzionali, noiosi incomodi.

Magari anche con le stesse facce, ove la residua disponibilità lo consenta.

Don Camillo senza Peppone, Mario Scelba senza Togliatti e gli operai, Pio XII col M.S.I. in giunta: finalmente l’occasione di diventare quel meraviglioso Paese che avremmo potuto essere, non fossero arrivati ’68, capelloni e miscredenti a romper le uova nel paniere. Essendosi i comunisti tanto gentilmente fatti da parte, nulla più osta a un ritorno in grande stile al Focolare e ai Valori!

A stento trattenendo il mio entusiasmo, mi congedo frettolosamente, non senza porgere a Rondi i miei – mi creda o no – più sinceri auguri; il tinello per la benedizione del parroco se no chi lo rassetta?