«Del Settentrion tornato tra le brume»
Canzone su li die trascorsi in Sicilia
Volontade mi mosse di dire parole su li die trascorsi in Sicilia, tanto piacquero a me et a quella gentilissima che accompagnovvimi. Ritornato a la mia cittade, pensando alquanti die, cominciai una canzone, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione.
Latrocinio privommi, tra l’altre cose, de la scatola c’ha dentro li pintori et le lor opre tutte, con ciò che mancan le usate miniature ad illustrar quel che io vidi, et io profondamente escùsomene, li ladri alquanto maladicendo.
La canzone comincia: “Del Settentrion tornato”.
Del Settentrion tornato tra le brume
1 Del Settentrion tornato tra le brume,
vo’ rimar di Trinacria rimembranze:
scusommi per le mie modeste stanze,
temendo al par di Bondi (1) poetar vile.
5 Di ragion a tacer spingemi il lume,
ma sfido del lettor le rimostranze
e affido a te, canzon, le mie vacanze,
cortese assai sapendoti, et gentile.
Di Cangrande città partimmi umile:
10 accompagnommi nel mio viaggio Amore,
all’Elefante (2) volti ali et motore.
Ognove pinse Amor di un vel sottile:
di donna mia il bel sembiante preso,
ogni color et gusto par più acceso.
15 D’Aci pastor e Galatea sull’orme,
la Costa dei Ciclopi traversata,
Castagno (3) e Zafferana visitata,
granite e vin libammo a profusione.
Taormin, col teatro suo: ognove torme,
20 gent’abbigliata in guisa inusitata: (4)
corte le brache, la pelle scottata.
Randazzo scura eligemmo a magione,
Alcàntara passato, e Castiglione.
Più che i pistacchi non trovando a Bronte,
25 volgemmo il carro nostro all’Acheronte,
dell’Etna inerpicati in sul costone.
Sì poco usata china appen discesi,
puntammo Siracusa a fari accesi.
Dallo Santuario “a con” già spaventati,
30 a fuga non ci demmo però pazza:
pigion prendemmo a Ortigia, con terrazza,
da cui mirare il mar assai ci piacque.
Al fonte d’Aretusa rincuorati,
cenammo in enoteca: non vinazza (5),
35 ma lieti degustando vin di razza,
fieri sdegnando minerali l’acque.
Come la nostra sete un poco tacque,
greche e romane mirammo vestigia
ch’ornan di sé ’l dentro e ’l fuor d’Ortigia.
40 Su la cittade in cui Archimede nacque
di storia onusto un gran teatro incombe,
con latomie, un circo e catacombe.
Pantàlica girammo poi a tondo,
calcareo avel di tombe desolate
45 dai Siculi mortal orson scavate.
Mai meno amaro fu di morte un letto,
ché il Calcinara c’attendeva al fondo.
Svelocci un forestal la sua beltate:
fronzura, rocce et acque smeraldate.
50 Al ricordar vacilla l’intelletto
di quanto bello fosse quel bagnetto,
et beato il star in su quella piaggetta:
al forestal gentil la man va stretta (6).
Tempo fu di voltar angolo retto,
55 dopo quel dolce, rinfrescante nuoto:
ratti a puntar barocco Val di Noto.
Poscia che ’l tremuoto seminò ruina,
Noto da antica ritornò novella,
com’anco Modica et Ragusa bella.
60 Ria sorte tramutossi in prodigiosa:
tutte rinacquer in barocca trina.
Vien meno del poeta or la favella,
tornato a la sua fredda e trista cella:
non puotesi descriver simil cosa.
65 Come li petali all’aulente rosa
alle cittadi fan corona i mari
da Marina di Ragusa a Vendìcari.
Al viaggiator ch’a Noto si riposa
“Caffè Sicilia” ’l Gamber poi consiglia:
70 d’occhio e palato grata maraviglia.
Non ti crucciar, canzon, se questa stanza
pur ad un pranzo voglio dedicare:
tanto piacer ci diè lieto sostare
dal Sultan di Ragusa, detto Ciccio.
75 Tanto ci sollazzò ’l gusto e la panza
al “Duomo” (7) ibleo perfetto il desinare,
che mi fa gola pur il ricordare
vivo del mar con la ricotta il riccio,
i grandi crudi (8), che per esser spiccio
80 non vo’ citar; va’ poi sicur che godi
se assaggi il maialino dei Nebrodi.
Con Monna Memoria non far bisticcio:
non ti scordar, di tanto mio piacere,
parte ch’ebbe il cortese sommeliere.
85 Giunti che fummo al tempo del ritorno,
tornammo alla città dell’Elefante:
quanti spaventi riservò al viandante!
Tosto scoprimmo, già pur nell’entrare,
come Catania al Bolzanin dia scorno.
90 Sorpassi a destra, panico al volante,
finimmo ratto preda d’un brigante,
lesto dai carri bisacce a rubare.
Restocci pur il furto denunziare:
d’ivi restar persa ogni lietezza,
95 la notte trascorremmo ad Aci Trezza.
Or va’, canzon mia, non ti scordare
di tutto quel che m’è venuto a mente:
port’anco un “vaffanculo” (9) al delinquente.
Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l’altre cose di sopra. E però prima ne fo sette parti: la prima parte è proemio de le sequenti parole; la seconda narra l’inizio de lo viaggio nostro; la terza… e lo capirete pure voi, eccheccazzo ;-)
Note:
- Sandro Bondi, ministro della Cultura, preso a modello di maldestro poetare. ⇑
- Catania ⇑
- Il “Castagno dei cento cavalli”, a Sant’Alfio. Se la guida è in vena, vi mostrerà tutte le “creature” che ha imparato a distinguere sulla corteccia. Provare per credere! ⇑
- Si suppone turisti, creature di norma assai buffamente agghindate. ⇑
- Vino di scarsa qualità ⇑
- Segno di gratitudine verso la gentilissima guardia forestale, senza il cui aiuto mai avremmo scovato quell’angolo di Paradiso ⇑
- Ristorante “Duomo”, via Capitano Bocchieri, 31 – 97100 Ragusa – Località Ragusa Ibla ⇑
- Val la pena di citare almeno il “Gambero rosa di Mazara del Vallo su salsa di corallo” ⇑
- Espressione volutamente triviale, ingiuriosa e di malaugurio ⇑
Nota del curatore: questa è un’operazione volutamente cialtronesca. Al primo “filologo” che mi farà le pulci verranno inesorabilmente spezzate le braccine: stek! stek!