«Ho visto cose che voi umani…»
Il Gambero Rotto ha preso la patente
Come i più intimi di voi forse già sanno, ho faticosamente – gravato ormai come sono dalla bellezza di trentasette primavere – ovviato a un’annosa, umiliante menomazione motoria: non aver mai preso la patente – vuoi per malinteso snobismo, vuoi per atavica pigrizia, abilmente camuffata da sensibilità ecologica in virtù dei più spudorati espedienti retorici.
Benché si vociferi che persino Renzo Bossi l’abbia superato senza poi troppi patemi, per me la preparazione all’esame pratico si è tradotta in una fantozziana, interminabile trafila di lezioni di guida e contestuali sedute dallo psicanalista, spunto e pretesto per quest’umile post celebrativo.
Ora che da quel tunnel sono fortunosamente uscito, tuttora inspiegabile rimane il come, da uomo cui il concetto di delicatezza non è del tutto estraneo, una volta al volante io riesca a trasformarmi in un cacciatore–raccoglitore del Mesolitico nel vivo di una battuta al muflone, la leva del cambio com’ascia di selce brandita.
Nei mesi scorsi ho infatti perfezionato un ragguardevole repertorio di sfrizionate alla Pasquale Barra, detto “o’ animale”, cambî di marcia in stile “spada nella roccia” e susseguenti inchiodate da ergastolano, di norma punite con gogna e cento nerbate cadauna, in Paesi del Nostro appena meno permissivi.
Colonna sonora le belluine urla del mio feroce istruttore di guida (con sciabola e feluca d’ordinanza) e le oscure maledizioni fenicie lanciatemi da tutte quelle malaccorte vecchiette che, in barba all’esperienza maturata e a ogni più elementare istinto di conservazione, non avevano ancora realizzato che per loro – a quell’ora e in quei paraggi – assai più igienico sarebbe stato inchiavardarsi tra le mura domestiche.
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Apro al proposito una breve parentesi, per sottolineare come solo prendendo lezioni di guida ci si possa effettivamente rendere conto dell’invecchiamento della popolazione, e di quanto fuorvianti siano i luoghi comuni sulle vecchiette “angeli del focolare”: sono infatti sempre in giro, ad attraversare strade o far gare d’impennata con la bici. Pure sboccate, per quel che di fenicio capisco.
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Quando ero ormai rassegnato a puntare a una patente conseguita per anzianità, se non già a una honoris causa offerta dal Consorzio Scuole Guida, in riconoscimento del sostegno economico che in tempi di crisi ho tanto a lungo garantito, ecco aprirsi, al posto di quelle del 41-bis auguratomi dal mio ineffabile istruttore, le porte di un misterioso varco spazio-temporale che ha obnubilato l’esaminatore, consentendo che l’agognata tesserina – con somma stupefazione, ancor prima mia che dei miei cari – planasse dolcemente nelle mie vuote tasche.
Più che un documento, la mia patente è un messaggio di speranza a un mondo senza più fede, misticamente incarnatosi in un pezzo di plastica rosa che le mie sembianze riproduce, e che più d’un motivo m’induce a pensare di dover esporre alla devozione popolare.
Come la Madonnina piangente di Civitavecchia.
Il tempo di aprire un conto corrente per le generose offerte votive che certo non mancherete di elargire: se no, l’Aston Martin come me la compro?